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Thursday, April 25, 2013

Fondi atomici

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E’ sempre in ritardo l’Italia, su tutto: infrastrutture, innovazione, ricerca, energia e a far riemergere nelle nostri menti sbadate, rese ancor più distratte dalla mancanza di un governo e di una direzione, quanto pesa su  ciascuno il costo della disorganizzazione, ci pensa ora  Sogin,  la società che si occupa della gestione degli impianti nucleari della Penisola, del loro smantellamento e della bonifica dei siti, con l’Amministratore Delegato Giuseppe Nucci che, assieme al Presidente di Nomisma Energia, il Professor Davide Tabarelli, ha presentato sei giorni fa a Roma  il rapporto sull’impatto economico e occupazionale della bonifica di tutti i siti nucleari esistenti in Italia, approfondendo gli aspetti di una sfida che, in modo iniquo, il nostro Paese affida ai tecnici lasciati  nel vuoto delle decisioni politiche necessarie all’attuazione del loro compito ultimo.
Sicché lo Stivale rappresenta un caso limite nel campo del  “decommissioning”, il complesso processo che parte dalla rimozione dei combustibili dai reattori nucleari, allo smantellamento dei siti stessi, fino al trattamento di tutti i materiali che li compongono: dal calcestruzzo dei muri di contenimento, alla piscina per l’immersione delle barre di combustibile, fino al guanto impiegato, magari decenni fa, per la manipolazione di materiali radioattivi.
A differenza di quanto accade nella maggioranza dei Paesi che si avvalgono della produzione di energia nucleare, Francia in primis, da noi tutto avviene al di fuori di un programma nucleare e di un piano energetico chiaro.
Ci ricorda oggi Euronews chel’ Italia ha scelto, non con uno ma con ben due referendum, prima nel 1987 e poi poco dopo l’incidente di Fukushima due anni fa, di fermare i propri reattori, ma, com’è noto da noi i referendum si fanno solo per non essere attuati.
Ogni anno continuano ad accumularsi 500 metri cubi di residui medicali radioattivi,  che spesso sono stoccati in maniera provvisoria e inadeguata dal punto di vista della sicurezza e nel corso degli ultimi 26 anni ancora non è stato non solo costruito, ma nemmeno individuato un luogo sicuro di raccolta.
Per fortuna, almeno in questo caso, siamo in buona compagnia. La Merkel aveva provato a spingere verso la strada del disarmo atomico sul finire dello scorso anno,  ma l’arsenale nucleare Nato è rimasto dov’è nelle basi che lo ospitano.
Alla luce, poi,  delle ultime dichiarazioni statunitensi rivelate dal “Guardian”, seondo cui ora Barak Obama ha cambiato idea e chiude la strada alla riduzione e si orienta verso lo sviluppo di nuovi ordigni, scelta voluta dal Pentagono ed in totale collisione con gli annunci del 2010 che puntavano all’opposto, sono molti i Paesi che si trovano e si troveranno ad ospitare ordigni atomici fabbricati da altri.
L’Italia “ospita” bombe atomiche nelle basi nucleari di Aviano, Pordenone, e Ghedi, Brescia; un numero non precisato, ma che oscilla fra 7° e 90 ed  altre 200 sono dislocate tra Belgio, Paesi Bassi, Germania e Turchia.
Tornando allo smantellamento delle nostre vecchie, inutili e pericolosi centrali,  l’operazione, se attuata, potrebbe fra l’altro alla creazione di circa 12.000 nuovi posti di lavoro, oltre alla realizzazione di una vera  Agenzia per la sicurezza nucleare,  che da noi non è mai davvero entrata in funzione, creandoci problemi anche di carattere internazionale.
Attualmente, nel mondo,  sono già stati fermati 140 reattori nucleari e il rapporto Nomisma Energia stima che nei prossimi 40 anni entreranno in decommissioning 400 impianti, con investimenti per il loro smantellamento di 165 miliardi di euro ed un valore complessivo per la bonifica di 606 miliardi di euro. Entro il 2030 tra Europa Occidentale (Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania, Svezia, Svizzera) ed Europa dell’Est (Russia ed ex paesi del Patto di Varsavia) è previsto lo smantellamento di 147 centrali nucleari, oltre ad un numero imprecisato di siti nucleari di arricchimento del combustibile e di ricerca. Senza pensare poi alle istallazioni nucleari, sulle quali la Sogin ha già avviato con la Russia, nell’ambito di un accordo con il G8 per lo smantellamento e la messa in sicurezza di sei sottomarini nucleari.
Ma in Italia tutto langue, nella nebbia, senza risposte né soluzioni, con un  ormai stracolmo deposito unico nazionale, dove oltre al combustibile impiegato nelle centrali e al materiale di risulta prodotto dallo smantellamento degli impianti, vengono o stoccati anche i materiali prodotti dalle altre attività civili, come per esempio l’industria e la sanità, con un flusso di circa 500 metri cubi all’anno e che ancora attende di essere messo in sicurezza.
Ci vogliono, hanno detto Nucci e Tabarelli,  6,5 miliardi per completare la bonifica ambientale delle quattro centrali nucleari italiane, dei quattro impianti del ciclo del combustibile e per realizzare il Parco Tecnologico, che comprende il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi, di cui 1,7 miliardi servono per le sole attività di smantellamento. Il problema, al solito, è come reperire questi fondi.

Carlo Di Stanislao

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