di Oliviero Mannucci
Spesso parlando di "retroingegneria aliena" a
persone totalmente estranee alla tematica ufologica c'è sempre
qualche saccente scientista ( come quelli del CICAP per intenderci),
che non prendono la cosa molto sul serio e anzi attribuiscono subito
queste cose a voci non confermate messe in giro da folli esaltati. Ma
spesso, escludere a priori tutto quello che non rientra nei propri
limitati schemi mentali può portare ad un approccio errato, sia con
l'argomento, ma anche nella vita di tutti i giorni. Per questo motivo
si rende sicuramente necessario da parte dei ricercatori citare a tal
proposito vicende credibili e circostanziate, ricordando come questi
temi dovrebbero essere di dominio pubblico e non relegati a sparuti
gruppi che già credono nella realtà del fenomeno.
Ben Rich
Tra tutte le testimonianze concernenti lo sviluppo di
tecnologie avanzatissime grazie al suggerimento ricevuto dai nostri
"amici" alieni, quella di Ben Rich è per il ruolo da lui
occupato nella vicenda, più che credibile. Egli, infatti, tra il
1975 e il 1991 fu a capo dei Lockheed Martin Advanced Development
Programs, noti anche come Skunk Works, le
ricerche più avanzate nel settore aeronautico. Poco dopo il suo
pensionamento, Rich iniziò a tenere una serie di conferenze nelle
quali fece affermazioni di interesse assoluto.
Il 22 settembre 1992, durante una conferenza presso il
museo dell’Usaf a Dayton, Ohio. Rich dichiarò che l’aeronautica
degli Stati Uniti aveva appena affidato alla Lockheed un progetto per
“riportare ET a casa” ( parole testuali ). Lo stesso concetto
venne ribadito da Rich e il 23 marzo 1993 a una conferenza gestita
dalla UCLA School of Engineering Alumni Association. Affermò infatti, parlando degli USA, che “siamo in possesso
della tecnologia per riportare ET a casa”. Ma non si limitò a dire
solo questo, Rich rilasciò una dichiarazione ancora più importante:
“Siamo già in possesso dei mezzi per effettuare viaggi
interstellari, ma queste tecnologie sono talmente occultate
all’interno dei black programs che ci vorrebbe un intervento divino
per renderle di pubblico dominio. Avevamo compiuto degli errori di
calcolo, continua Rich, ma li abbiamo individuati e corretti e ora
sappiamo come viaggiare verso le stelle, e non ci vuole certo una
vita intera per giungervi”. Ricordo a tal proposito il "velato"
ma non troppo riferimento all’esistenza di una flotta interstellare
statunitense, scoperto dall’hacker scozzese McKinnon e anche da
altri. Realtà o fantasia? Non è dato saperlo, almeno ufficialmente,
ma certamente l’ipotesi che tale flotta esista concretamente viene
ora ulteriormente avvalorata.
Sempre stando a quanto affermato da Rich nel corso di
quella stessa conferenza; nel 1964 la Lockheed avrebbe effettuato un
balzo tecnologico in avanti gigantesco, talmente grande che a decenni
di distanza, la tecnologia scoperta non può ancora essere applicata
nei settori privati. Con una frase molto ad effetto, Rich concluse
affermando che “i progetti che stiamo portando avanti riguardano
tecnologie sulle quali una volta fantasticavano gli scrittori di
fantascienza. L’intelligence vorrebbe che ciò rimanesse
nell’ombra, ma è tempo di porre fine a tutta questa segretezza,
dal momento che non rappresenta più una minaccia alla sicurezza
nazionale”.Quanto appena detto non può non far pensare alle
limpide affermazioni del colonnello Philip J. Corso, ufficiale di
Stato maggiore presso la Foreign Technology Division poi assegnato
dal 18 luglio 1962, alla Plans Division presso l’Operation Command
Research & Development con
il compito, all’interno di un progetto di retroingegneria su
tecnologie non terrestri, di smistare e destinare alle aziende
statunitensi più avanzate, a seconda del campo di ricerca, le parti
del disco volante recuperato a Roswell e non solo quelle.
Il salto operato nel 1964 dalla Lockheed, infatti, ben
potrebbe essere frutto di un aiuto esterno che portò gli scienziati
e i ricercatori in possesso di tecnologia avanzatissima, non
terrestre naturalmente. Una prima obiezione che si potrebbe muovere
su quanto sopra esposto è che, in realtà, Rich non ha mai citato
alcun utilizzo di tecnologia extraterrestre, per cui si potrebbe
anche pensare che non vi sia stato alcun aiuto esogeno nel
raggiungimento di livelli tecnologici così elevati. Ma dalla
corrispondenza intrattenuta tra lo stesso Rich e John Andrews senior
designer della Testor Corporation emerge una chiave di lettura della
vicenda piuttosto interessante. In una lettera del 1 luglio 1986,
quest’ultimo domandava a Rich se credesse negli Ufo. Una settimana
dopo, Ben Rich rispose su carta intestata Lockheed che non aveva
ombra di dubbio sulla loro esistenza . Incuriosito, Andrews
insistette per saperne di più, e gli domandò se credesse in
un’origine extraterrestre o umana degli Ufo. Rich con una lettera
datata 21 giugno rispose di “credere in entrambe le categorie di
Ufo. Ritengo che tutto sia possibile. Molti dei nostri Ufo infatti
erano Un Funded Opportunities“. L’utilizzo dell’espressione “Un
Funded Opportunities” merita sicuramente un attenta analisi. La
lettura più semplicistica è che queste “opportunità non
finanziate” si riferiscano a programmi avanzati all’interno degli
Skunk Works che non ricevevano i fondi necessari per uno sviluppo
appropriato. Ma c'è anche un altra chiave di lettura, vale a dire
quella per cui si tratti di riferimenti a “opportunità” sì
prive di finanziamenti, ma prive in quanto non ne necessitavano.
Infatti si trattava di tecnologia ottenuta da altrove, vale a dire da
ricerche di retroingegneria su velivoli extraterrestri precipitati e
confluita poi nel progetto Snowbird, il quale prevedeva lo studio di
tecnologia aliena da replicare per tentare di creare dischi volanti
terrestri identici a quelli recuperati dai vari siti di UFO Crash,
tra i quali sicuramente Roswell e non solo. Per quanto possa
trattarsi di una coincidenza, non si può non citare il fatto che,
nel corso di una mostra d’arte nel 1992 vicino a Laguna Beach,
California; Ben Rich, a domanda dello storico aeronautico Lee Graham,
che gli domandava se potesse confermare l’esistenza del progetto
Snowboard, Rich rispose che non poteva lasciarsi andare a
dichiarazioni su quell’argomento. A ciò si aggiunge quanto
affermato da John Andrews, il quale, formulando analoga domanda a
Rich, si sentì rispondere dallo stesso Rich che se avesse parlato di
tale progetto, sarebbe sicuramente stato arrestato. In ogni caso,
stando alle affermazioni di Rich, non si può non giungere a una
ovvia: non tutti gli Ufo sono attribuibili agli alieni. Perciò molti
Ufo, potrebbero essere velivoli statunitensi sperimentali
supersegreti. A questo punto è chiaro che non è sempre facile
capire a priori se un avvistamento UFO è attribuibile a qualcosa
di terrestre, ma sconosciuto ai più, o ad una origine esogena.
La tipologia che emerge maggiormente dagli Skunk Works è
quella di velivoli di forma triangolare/boomerang. Di conseguenza,
tutti gli avvistamenti di oggetti triangolari potrebbero essere letti
nell’ottica di una possibile origine umana, specie se avvengono nei
pressi di basi militari. Non si può non citare a questo punto
l'ondata di avvistamenti di velivoli triangolari in Belgio degli anni
’90 così come gli avvistamenti nella Hudson Valley negli anni ’80
di velivoli a forma di boomerang, ma ce se sarebbero anche altri meno
conosciuti, ma non meno importanti. Al tempo stesso non bisogna
dimenticare come il fenomeno Ufo tende a essere camaleontico, nel
senso che tende a mimetizzarsi a secondo dei periodi storici in cui
si manifesta. Per quanto concerne gli Ufo di forma triangolare,
l’avvistamento più eclatante è stato quello dell'agosto 1989
fatto da Chris Gibson, ingegnere petrolifero che stava lavorando su
una piattaforma nel Mare del Nord e anche dal suo collega Graeme
Winton. I due videro in cielo un KC-135 Stratotanker e due F-111 al
suo fianco. Nulla di strano, se non fosse che attaccato allo
Stratotanker con sistema “buddy buddy” per effettuare il
rifornimento in volo, vi era un velivolo dalla forma di triangolo
isoscele, completamente nero. Se si trattasse del celebre Aurora, di
un SR-75 Penetrator, di un XR-7 Thunder Dart o di un TR-3A Black
Manta non è facile stabilirlo, ma risulta chiaro come l’Aviazione
degli Stati Uniti ha dei prototipi dalle forme peculiari e
tecnologicamente avanzati, trattandosi di velivoli in grado di
raggiungere, stando ad alcune indiscrezioni, velocità pari a Mach
20.
Da considerare, come in questi casi si tratterebbe di
velivoli che rientrano tra quelli che Rich ha definito di “seconda
fascia”, nel senso che, pur mostrando prestazioni superiori a
qualsiasi altro velivolo di potenze straniere rientrano ancora nella
categoria dei "normali". Ne esisterebbero di super
avanzati, addirittura fisicamente invisibili. Stando alle
dichiarazioni di Rashid Zeineh, ricercatore della società
californiana Advanced American Enterprise, l'invisibilità totale
sarebbe stata raggiunta tramite lo Stealth Technology System (STS),
un sistema di occultamento visivo sul cui funzionamento c'è la
massima segretezza. Questo sistema, afferma Zeineh (che ne è
l’inventore), sarebbe applicabile non solo ai cosiddetti UCAV
(Unmanned Combat Air Vehicle), ma anche su veicoli terrestri, navali
e addirittura sugli stessi soldati. Il sistema utilizzato
conferirebbe un’invisibilità totale fino a 7-8 metri di distanza
dall’osservatore. Da alcune indiscrezioni, sembra che questo
sistema si basi su un insieme di videocamere e proiettori che
trarrebbero immagini dall’ambiente circostante riproiettandole
sulla superficie dell’oggetto, in questo modo il target
diventerebbe virtualmente invisibile poiché non distinguibile oltre
una certa distanza, dallo scenario circostante. Ritengo tuttavia che
esista anche un altro tipo di tecnologia che utilizzando
metamateriali in grado di deviare la luce intorno all’oggetto per
poi ricomporla come se l’oggetto non si trovasse nel mezzo,
conferisce l’invisibilità totale ai velivoli.
Questo emergerebbe in alcune sequenze di fotografie
reperibili anche su internet, nelle quali si vedono Balls of Light
(BOLs) ad alta quota, seguite da scie, che a seguito di un
procedimento di decloaking
diventano a tratti visibili e si palesano per essere come F117-A. Al
riguardo, il Professor John Pendry, dell’Imperial College di
Londra, con il suo team di ricercatori nel campo dell’invisibilità,
ha fatto un esempio, molto calzante: se osserviamo un masso in mezzo
a un fiume con l'acqua che vi scorre intorno, notiamo che non è
definibile la forma del masso. Quindi possiamo tranquillamente
comprendere come quello che si sa sullo sviluppo di queste tecnologie
avanzatissime non è altro che la punta dell'iceberg. Non posso fare
a meno di ricordare quelle che Ben Rich disse in punto di morte allo
storico James Goodall: “Jim, là nel deserto
abbiamo delle cose di cinquant’anni più avanti. Se hai visto
qualcosa nella serie Star Trek o in Guerre Stellari, noi l’abbiamo
realizzato o abbiamo deciso che non valeva lo sforzo realizzarlo”.
Proprio in quest’ottica gli atteggiamenti di certi ambienti
"scientifici" improntati sulla negazione a priori di un
qualche fenomeno per la supposta impossibilità di essere e di
esistere fanno sicuramente sorridere, dal momento che di prove
concernenti l’esistenza di nuove tecnologie ve ne sono eccome,
purché non si voglia fare come lo struzzo che per paura del leone
che arriva mette la testa sotto la sabbia, pensando, non vedendolo
più, di aver risolto il problema. Risultato: alla fine viene
mangiato lo stesso!
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