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Sunday, March 30, 2014

Disastri ambientali “rimossi”. Per continuare a fare soldi

Qualche settimana fa, in un silenzio quasi surreale da parte dei maggiori media, si è celebrato il terzo anniversario dell’incidente nucleare di Fukushima, avvenuto l’11 Marzo 2011
 
In realtà, al di là di qualche sporadica notizia, legata per lo più a eventi contingenti, pare che su tutta la faccenda sia stato steso un velo. Una brutta faccenda quella dell’incidente alla centrale nucleare giapponese. In primo luogo perché in pochi credevano che sarebbe potuto avvenire (e, invece, è avvenuto) e poi perché, nonostante l’impegno e la partecipazione di molti Paesi del mondo (forse interessati più ad evitare conseguenze ancora peggiori di quelle già disastrose che si verificarono nelle prime settimane che animati da puro spirito umanitario), la situazione in quella parte del Giappone non pare migliorare, anzi.
Pare che il dilemma, esclusivamente giornalistico e scientifico, se siano stati maggiori i danni causati dall’incidente nucleare di Cernobyl o quelli della centrale di Fukushima, sia stato definitivamente risolto: ha vinto il Giappone.
Senza contare che non si sarebbe ancora riusciti a risolvere in modo definitivo il problema dello spegnimento del reattore 3 (il più pericoloso dopo il terremoto). Nella sua vasca sono presenti 514 barre pari a 90 tonnellate di combustibile nucleare a base di plutonio con una temperatura eccessivamente elevata. Il rischio è che la temperatura salga eccessivamente con conseguente prosciugamento dell’acqua della vasca e con la fusione delle barre di combustibile. Ciò provocherebbe un nuovo disastro nucleare con il rischio che le correnti aeree potrebbero trasportare le radiazioni verso le coste occidentali del continente americano.
Ma esiste anche un altro motivo di preoccupazione: il cosiddetto “corium”, il combustibile fuso, potrebbe avere raggiunto le acque delle falde sotterranee, facendosi strada sia nell’interno che verso l’Oceano Pacifico.
Se a questo si aggiunge il rischio di far finire nell’oceano le acque utilizzate per il raffreddamento dei reattori lo scenario appare tutt’altro che tranquillizzante. Anzi proprio quest’ultimo problema pare sia quello che desta maggiori perplessità. La Tepco, la società proprietaria della centrale nucleare, ha proposto di scaricare nell’oceano Pacifico le circa 380.000 tonnellate di acqua radioattiva finora accumulate nei serbatoi costruiti attorno alla centrale con tre reattori in meltdown. Il problema è che queste acque sarebbero non completamente decontaminate. L’acqua versata sui reattori infatti entra in contatto con il materiale radioattivo e diventa a sua volta radioattiva. Viene poi sottoposta ad una decontaminazione che però riguarda soprattutto il cesio, l’elemento radioattivo più abbondante. Altri elementi radioattivi, come il trizio e lo stronzio, presenti in quantità minori permangono. Alla fine dello scorso anno l’Iaea, dopo un sopralluogo sul posto ha affermato che quella proposta dalla Tepco potrebbe essere una “possibilità”.
In realtà la situazione delle acque intorno al Giappone è già grave dato che ogni giorno vengono scaricate nel Pacifico 300 tonnellate di acqua della falda sotterranea contaminate dalla radioattività di Fukushima (ultimamente si è parlato di una quantità ancora maggiore, 400 tonnellate al giorno). Senza considerare che la radioattività non è ”solubile”, non si diluisce omogeneamente nella vastità dell’oceano. Al contrario tende ad essere assorbita dalle piante e dai pesci ed entra nella catena alimentare dove rimane per tempi lunghissimi.
Molto è stato detto circa le procedure inadeguate adottate dall’impianto di Fukushima, prima, durante e dopo il disastro. E molto è stato scritto poco dopo l’incidente circa la convenienza o meno di produrre energia, in Giappone come in altre parti del mondo, ricorrendo al nucleare.
In realtà se, da una parte, è noto a tutti che le energie rinnovabili (solare, eolico e geotermico, in primis) sono sottoutilizzate (forse anche a causa della pressione esercitata da Paesi che hanno basato la propria economia sull’estrazione di combustibili fossili, gas e petrolio); dall’altra, troppo poco è stato detto circa le conseguenze che potrebbe avere sulla vita di tutti il ricorso a fonti energetiche come il nucleare. Pare, infatti, che la lezione conseguenza dell’incidente di Cernobyl sia stata dimenticata. E mentre ancora non è possibile stimare quali saranno i danni causati dall’impianto della Tepco (secondo alcune stime approssimative solo per bonificare Fukushima saranno necessari 11miliardi di dollari, che nessuno dice chi dovrà pagare, e certamente diversi decenni), ancora una volta pare che i politici non abbiano compreso i rischi che il ricorso al nucleare comporta. Rischi che riguarderebbero non solo il Giappone, ma molti Paesi: “Le radiazioni causate dai guasti dei bacini di combustibile esaurito in caso di un altro sisma potrebbero raggiungere la West Coast in pochi giorni. Il che fa sì assolutamente che il contenimento sicuro e la protezione di questo combustibile esaurito sia un problema di sicurezza per gli Stati Uniti”. L’esperto nucleare Arnie Gundersen e il medico Helen Caldicott hanno entrambi affermato che, se una delle piscine di stoccaggio del combustibile di Fukushima dovesse collassare, la gente dovrebbe evacuare l’Emisfero Settentrionale del pianeta. Non a caso l’ex consulente dell’ONU, Akio Matsumura, ha definito la rimozione dei materiali radioattivi dai bacini del combustibile di Fukushima “una questione di sopravvivenza umana”.
Il 24 marzo 2014 si è celebrato anche un altro anniversario: 25 anni fa, il 24 marzo appunto, è avvenuto il disastro della Exxon Valdez. Una petroliera versò più di 11 milioni di galloni di greggio nel mare intorno l’Alaska, ricoprendo 1.300 miglia di costa. Il ripetersi di questi incidenti pare stia diventando una costante e solo una forte pressione mediatica ha impedito che si diffondessero. Solo pochi giorni fa, un’altro incidente analogo ha caratterizzato le acque statunitensi: il rimorchiatore Miss Susan, che trasportava 924.000 galloni di combustibile pesante, ha urtato contro una nave battente bandiera della Liberia, versando decine di migliaia di galloni di carburante e costringendo a chiudere la via navigabile. Dai documenti ufficiali pare che, negli ultimi 12 anni, il rimorchiatore Miss Susan era già stato coinvolto in ben 20 incidenti segnalati alla Guardia Costiera, a volte proprio mentre trainava chiatte contenenti petrolio o bitume.
Anche la BP pare essere tornata sul luogo dove quattro anni fa causò quello che molti hanno indicato come il peggiore disastro ambientale della storia degli Stati Uniti. Proprio nei giorni scorsi infatti pare che BP abbia firmato un accordo con l’Environmental Protection Agency per rimuovere il divieto, impostole nel 2012 (quell’anno l’agenzia americana per la protezione ambientale concluse che BP non aveva provveduto a risolvere problemi che avevano portato all’esplosione del 2010 che uccise 11 persone, riversando milioni di litri di petrolio nell’Oceano e contaminando centinaia di chilometri di spiagge). BP tornerà nel Golfo del Messico a cercare petrolio e a scavare sul fondo dell’Oceano grazie a nuovi contratti di sfruttamento.
E anche il Giappone pare non aver compreso le conseguenze derivanti dalla politica energetica adottata: il governo di Shinzo Abe ha annunciato che tornerà al nucleare (dimenticando la promessa dell’ex premier Naoto Kan, che nel 2012 aveva assicurato un «Giappone nuclear-free» entro il 2040). Non solo, ma per farlo, tornerà ad avvalersi dei servizi della Tepco (Tokyo Electric Power Company).
La verità è che, come per la Exxon e per la BP, così per la Tepco (che è la più grande compagnia elettrica del Giappone e la quarta al mondo), quando un Paese si trova di fronte un colosso economico, che, nonostante enormi perdite (ha collezionato perdite nette per oltre 27 miliardi dollari senza contare il risarcimento, la decontaminazione delle aree colpite e lo smantellamento dei reattori) continua a godere del sostegno finanziario delle maggiori banche del mondo, allora è molto difficile dimenticare l’influenza che questi “mostri” possono esercitare sulle scelte politiche.
E allora è possibile che un Paese si dimentichi di ciò che è avvenuto, e sta ancora avvenendo, a Fukushima e consegni la vita di milioni di cittadini nelle mani di queste società non una volta, ma 17. Tanti saranno, infatti, i reattori nucleari gestiti dalla Tepco in Giappone (tra cui la Centrale elettrica di Kashiwazaki Kariwa, la centrale nucleare più grande al mondo).

C.Alessandro Mauceri

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